EVENTI - 04 novembre 2024, 12:57

Rotary Club Valsesia sostiene un progetto internazionale

Obiettivo aiutare le popolazioni del Kenya

La serata del Rotary Club Valsesia.

Un respiro internazionale anima quest’anno il Rotary Club Valsesia portandolo a sostenere un importante progetto in corso in Kenya, ad intessere rapporti con il Rotary Club francese di Chateauroux nell’intento di avviare iniziative congiunte, ma anche ampliando la conoscenza e competenza dei propri soci, attraverso relazioni testimoniali di concrete esperienze umanitarie nei Paesi del sud del mondo. Così dopo il Vescovo Ciocca Vasino con le sue testimonianze  di vita missionaria in Brasile è stato relatore in una recente convivale il dottor Stefano Dacquino, offrendoci un’ulteriore prospettiva in ambito sanitario, ma non solo, con i racconti della sua esperienza professionale in terra d’Africa.

Il dottor Stefano Dacquino, Direttore SC Medicina Interna dell’Ospedale di Borgosesia, da anni partecipa al Programma di Cooperazione Internazionale CUAMM - Ministero Affari Esteri, Repubblica Italiana - attraverso il quale ha operato in vari Paesi: a Shangai, in Zimbabwe, in Somalia e in Kenya e in anni recenti in Sud Sudan, ovvero in uno dei Paesi più poveri e arretrati dell’Africa subsahariana.

Sulla base di tali esperienze il suo curriculum conta numerose pubblicazioni a carattere medico-scientifico e altrettante partecipazioni ad attività didattiche e di formazione.

La sua competenza e la sua passione per queste realtà extraeuropee, ben traspaiono dal suo racconto, riferito all’attività svolta in Sud Sudan e preceduto da un breve, ma significativo, filmato dell’Associazione Medici con l’Africa CUAMM.

Le immagini ci portano sui sentieri dell’Africa dimenticata, dove il diritto alla salute è negato e dove il lavoro dei volontari, un’avventura coinvolgente quanto difficile nei paesi più fragili dell’Africa subsahariana, fa la differenza tra la vita e la morte per tante persone. Grande l’impegno dell’Associazione e significativi i risultati, stando vicino soprattutto alle donne, per aiutarle a non morire di parto e ai bambini, a nascere e crescere sani nei primi anni di vita, perché solo attraverso la salute e l’educazione di mamme e bambini possiamo costruire l’Africa di domani.

Con un’illuminante panoramica geografica, politica, economica e antropologica del Sud Sudan, dove ha lavorato per circa tre anni, il dottor Dacquino ci ha evidenziato le numerose problematiche che affliggono questa realtà: le lotte tra le etnie tribali con conseguenti guerre civili, la prevalenza di una cultura animista, la presenza di tantissimi bambini rispetto agli adulti e anziani, che dovrebbero sostenerli, uno spazio sterminato e popolato da 12 milioni di persone e 20 milioni di vacche, diviso in villaggi dove durante la stagione delle piogge, a causa della esondazione del Nilo, le vie di trasporto e comunicazione diventano impraticabili; tutto ciò determina continue migrazioni interne cui si aggiungono quelle di profughi dal vicino Sudan per sfuggire a lotte intestine.

In tale contesto, la realizzazione di strutture ospedaliere e la loro gestione rappresenta un problema non da poco: i reparti sono molto poveri e sobri, dotati di apparecchiature essenziali e con personale che per il 50% circa è costituito da infermieri, solo indicativamente tali, in forza di qualche esperienza di soccorso durante la guerra civile; quindi operatori privi di formazione professionale e spesso analfabeti. Anche concetti basilari, come ad esempio quello della  sterilità, richiedono in tale contesto un grande impegno di pratica e insegnamento, perché manca a monte l’essenziale presupposto della pulizia.

L’impegno quotidiano dei medici e di tutto il personale è concentrato sull’elevata mortalità infantile (70%) determinata dalla malnutrizione; molti altri interventi sono legati all’ambito traumatologico e chirurgico dovuti spesso a ferite di armi da fuoco, considerato che la maggior parte delle persone gira armata a causa dei persistenti conflitti tribali.

Altro grande ostacolo che si incontra nel cercare di dare un’assistenza sanitaria o promuovere iniziative di prevenzione è la concezione stessa della malattia. Le sue cause, almeno quelle batteriologiche o virali, hanno nella nostra società consapevolezza diffusa e radicata da secoli, mentre per queste culture che conservano una visione animistica, la malattia costituisce prevalentemente l’esito di una maledizione di terzi conseguente a cattivi comportamenti nei loro confronti; le malattie dei bambini vengono ovviamente attribuite a colpe dei genitori. Su tali presupposti, le persone si rivolgono ai guaritori, agli stregoni che aiutano a scoprire ed evidenziare i conflitti che stanno alla base delle malattie, per cercare di riparare il torto originale ed eliminare le cause; a ciò va aggiunto talora il danno di pratiche medicali di tipo occidentale condotte in modo improprio da soggetti senza le competenze necessarie.

Un approccio positivo al problema sta nel coinvolgere questi guaritori cui la gente fa riferimento, cercando di trasfondere le pratiche corrette senza pretendere di sradicare le usanze e le consuetudini, ma trasformandole e adeguandole via, via.

E meglio dare più importanza al “TO CARE”, ovvero al prendersi cura, piuttosto che al “TO CURE”, ovvero curare, attraverso il progressivo sviluppo di istruzione e formazione. Ulteriori spunti di riflessione e di consapevolezza di cui ringraziamo l’illustre relatore.

C.s. Rotary Club Valsesia - Redazione

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