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EVENTI | 05 dicembre 2024, 07:00

Applausi a Varallo per lo spettacolo su Adriano Olivetti

Sul palco del Civico Cornacchione

Antonio Cornacchione  e Pietro Bondetti

Antonio Cornacchione e Pietro Bondetti

Martedì 3 dicembre ha calcato il palco del Teatro Civico varallese Antonio Cornacchione, per presentare: “D.E.O. ex machina” con la regia di Giampiero Solari, che racconta la storia della Divisione Elettronica Olivetti, letta attraverso le sue memorie di impiegato dell’azienda eporediese: dai primi anni entusiasmanti di Pisa, alla vendita della Divisione Elettronica agli americani (con il colpevole disinteresse dei governanti di allora), fino alla situazione attuale con la vendita di quel che resta della Olivetti ad una serie infinita di società. Antonio Cornacchione ha ricordato i ricercatori eroici che portarono l’elettronica italiana a competere nel mondo – Adriano Olivetti, Mariano Rumor e altri protagonisti dell’epoca – con la consueta, esilarante verve. Erano precursori della Silicon Valley, e quello fu definito il secondo Rinascimento dell’Italia.

Questo teatro di parola, di cui Cornacchione è autore e protagonista, si iscrive nel filone del teatro civile e fa riflettere sulle attuali e tristi sorti dell’industria italiana.

La Olivetti non è una semplice azienda, o un grande marchio, ma un grandioso progetto sociale ancora oggi innovativo, che implicava una nuova relazione tra imprenditore ed operai, oltre ad un nuovo rapporto tra fabbrica e città. A cavallo tra gli anni Trenta e Sessanta l’azienda divenne il fulcro delle più avanzate riflessioni in campo industriale e socio- economico, architettonico ed urbanistico. Adriano Olivetti fondò il “Movimento di Comunità” per portare a compimento una nuova concezione umanistica del lavoro, in cui il benessere economico, sociale e culturale dei collaboratori veniva considerato parte integrante del processo produttivo. I più noti architetti e urbanisti italiani di quel periodo, da Pollini e Figini, a Gardella, progettarono strutture moderne ed innovative che si integravano nel contesto urbano. Dalla “fabbrica di mattoni rossi” progettata da Camillo Olivetti (padre di Adriano) a partire dal 1934, vennero fatti nuovi ampliamenti voluti da Adriano, che si distinguono nettamente per lo stile architettonico dai precedenti edifici.

Emilio Uggeri, personaggio ben noto in Valsesia, che ha casa a Rassa, tra i più “vecchi” dipendenti dell’Olivetti, assunto come “disegnatore”, Spilla d’oro 20266J, nel 2021 pubblicò: “Generazione informatica italiana. Un leggendario viaggio in un mondo che non c‘è più” e nell’introduzione scrisse: “C’era una volta…così, come iniziano le belle favole, un’azienda italiana dalla quale si udivano i ticchettii delle macchine da scrivere. Il suo titolare, presa al balzo l’idea espressa da uno scienziato italiano (Enrico Fermi) che aveva preso il Nobel per la fisica, si mise di buona lena per far realizzare un calcolatore elettronico. Ingaggiò un esperto ingegnere elettronico italo-cinese (Mario Tchou) trai migliori in quel tempo, al quale affidò l’incarico di comporre un gruppo operativo per dar corso all’idea. Questo

ingegnere lo formò raccogliendo giovani ingegneri e fisici italiani, “giovani” sosteneva “perché le cose nuove le fanno solo i giovani. Solo i giovani si buttano dentro con entusiasmo e collaborano in armonia, senza personalismi e senza gli

ostacoli derivanti da una mentalità consuetudinaria”. E questi divennero i pionieri dell’Informatica italiana realizzando il primo calcolatore elettronico Made in Italy, un mastodontico macchinario composto da centinaia di valvole, chilometri di fili e dalla forma disegnata da un architetto destinato a diventare famoso (Ettore Sottsass). … Ma, diversamente dal bacio del principe azzurro, che avrebbe potuto chiudere questa bella favola ed ebbe la meglio una cattiva strega, che tutto trasformò in cenere”.

L’Olivetti era un’industria all’avanguardia a livello mondiale. Adriano, il suo cuore, il suo creatore, osteggiato dalla politica e malvisto dai sindacati morì improvvisamente nel febbraio del 1960. Mario Tchou, punta di diamante della ricerca dell’Olivetti, morì (ancora oggi in modo misterioso) nel novembre 1961. L’Azienda finì in mano al gruppo di intervento formato da FIAT e da Mediobanca. Enrico Mattei creatore dell’ENI, lottò affinché l’Italia potesse essere energeticamente indipendente ed autonoma nella scelta dei suoi partner commerciali: nell’ottobre 1962 morì in un incidente aereo durante un viaggio.

Nel 1955 Olivetti costituì a Pisa il Laboratorio di Ricerche Elettroniche, con sede nel quartiere di Barbaricina, in un’antica villa patrizia. Ricercatori e tecnici elettronici cominciarono a lavorare in stretto contatto con i colleghi dell’Università. Cornacchione nello spettacolo spiega: “La voce più insistente era quella che li voleva tutti matti, una via di mezzo tra Archimede Pitagorico e Jim Morrison! Ho fatto le mie ricerche: sì, lo erano!". Nel 1957 quel gruppo porta a termine la Macchina Zero, il primo prototipo di calcolatore elettronico basato sulla tecnologia delle valvole. Nel 1959 nacque ELEA, il primo vero calcolatore elettronico italiano da produrre in serie, chiamato così dal nome della colonia greca dove era fiorita una scuola di filosofi, matematici e scienziati, ispirato Da Franco Fortini e disegnato da Sottsass. Marisa Bellisario, laureata in economia nel 1959, entrò all’Olivetti Divisione Elettronica, con funzioni di programmatrice sull’Elea 9003. Nel 1979 era Presidente dell’Olivetti Corporation of America. Dall’82 assume la reggenza dell’Italtel: purtroppo un cancro alle ossa la divorò a cinquantatré anni.

Nel 1964 Pier Giorgio Perotto e i suoi collaboratori progettarono e realizzarono la “Perottina”, Programma 101, il primo personal computer al mondo. Un calcolatore pensato per tutti, che prevedeva un rapporto diretto, personale, tra l'utente e la macchina, o, per dirla in termini più ideali, tra l'uomo e la tecnologia. Questo computer da scrivania, prodotto a Ivrea, fu usato dalla NASA per la missione Apollo 11, dimostrando nei fatti che progettare a misura d'uomo è ciò che permette all'umanità di giungere a mete prima ritenute inarrivabili.

Il 1 luglio 1965 fu costituita la Olivetti General Electric (OGE). Il 12 marzo 2003 il marchio Olivetti venne cancellato dalle imprese italiane quotate in Borsa; il sociologo Luciano Gallino scrisse: “La Olivetti era un anello superfluo”.

Quella dell’Olivetti è stata una vicenda colma di passioni, voglia di fare, rispetto e amore per le persone, generosità, leadership, vision e, non ultimo, con la voglia di rischiare: in Biblioteca a Varallo conserviamo alcune storiche macchine da scrivere, dalla Olivetti M 40 all’Olivetti Studio 42, alla famosa Lettera 22, ma soprattutto, attraverso un libro, abbiamo riscoperto un episodio che vede Adriano Olivetti di passaggio a Varallo, in un momento molto delicato della sua esistenza. Il famoso avvocato matrimonialista Cesare Rimini, amico di Piero Corte, in: “Le storie di Piero”, intitola un capitolo a: “Adriano, Bartolomeo e le due principesse”. Un partigiano garibaldino aveva aiutato Adriano Olivetti a rifugiarsi in Svizzera, dove teneva una rete di contatto con gli antifascisti e con gli ebrei rifugiati. Anni dopo,

un giornalista inglese intervistò Adriano ad Ivrea e lo aiutò ad individuare il partigiano sconosciuto in Valsesia: “Si chiamava Bartolomeo, aveva perso un fratello, partigiano come lui, medaglia d’argento, ferito dai tedeschi, torturato e bruciato vivo nella baita in cui si era nascosto”. Il giornalista venne a Varallo, trovò Bartolomeo Chiodo e lo portò ad Ivrea: “Bartolomeo torna in Valsesia con un’Aurelia B12 nera, targata Roma, l’automobile di Adriano: Era la macchina più bella che ci fosse allora in Italia, e il mio amico Piero che era diventato ormai un giovanotto, ricorda che Bartolomeo gliela prestava per andare a trovare una ragazza, affascinata da Piero, ma forse anche da un’automobile così”.

Piera Mazzone

Piera Mazzone - Redazione

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