ATTUALITÀ - 14 dicembre 2024, 10:23

Un convegno di studi sulle emigrazioni in alta Val Mastallone FOTO

Un focus sulle comunità di Fobello e Cervatto

Un convegno di studi sulle emigrazioni in alta Val Mastallone

Venerdì 9 agosto 2024 a Fobello, era stato presentato: “Storie d’ingegno e d’eccellenza. L’emigrazione da Fobello e Cervatto nell’Ottocento. Due Comunità alpine a Torino, in Europa e oltreoceano” di Riccardo Cerri e Federica Giacobino, frutto di vent’anni di studi e ricerche. 

Dai contenuti di quel prestigioso volume era nata l’idea di promuovere il 7 dicembre, nella data della prematura scomparsa di Federica Giacobino, un convegno di studi su comunità e migrazioni in Alta Val Mastallone, concepito come dialogo tra due studiosi: Enrico Rizzi, storico delle Alpi e specialista di storia della colonizzazione medioevale, e Massimo Bonola, storico e filosofo. 

Le due Comunità Alpine, che appartengono geograficamente alla Val Mastallone, oggi amministrativamente sono due Comuni: Fobello e Cervatto, ma, fino al 1738 erano uniti, poi Cervatto si separò come parrocchia e, un secolo dopo, come Comune. Attraverso l’emigrazione, prima a Torino, poi in Europa e anche oltreoceano, fobellesi e cervattini si aprirono ad orizzonti molto più ampi. 

Il Vice Sindaco di Varallo Eraldo Botta e la Presidente della Società Valsesiana di Cultura, Donata Minonzio, hanno portato il loro saluto come Enti patrocinatori del convegno con la Fondazione Monti, della quale Enrico Rizzi è il Direttore Scientifico. 

Riccardo Cerri ha introdotto l’incontro nato come occasione per migliorare le conoscenze sul tema dell’emigrazione valsesiana, sfrondata dagli stereotipi come quello del territorio povero che non permetteva il sostentamento della popolazione, costringendo a cercare sussistenza altrove, attraverso l’emigrazione stagionale maschile. “In Valsesia l’emigrazione non è disperazione di chi non ha il pane e deve migrare, ma, a fronte di risorse naturali scarse, si manifestano doti di genio e intraprendenza che sono assenti, o carenti, altrove”: ha commentato Enrico Rizzi. Massimo Bonola, partendo da alcune riflessioni formulate da Cerri in un contributo su Fobello, pubblicato sul De Valle Sicida del 2004 in cui emergeva la necessità, ormai impellente di uno studio organico sull’emigrazione valsesiana, si è complimentato per la pubblicazione del volume, scritto con Federica Giacobino, che potrebbe essere il “prototipo” da applicare anche allo studio di altre Comunità: “In Valsesia ci sono stati tanti modelli di emigrazione e da questo libro si può davvero imparare molto, perché offre il risultato di ricerche originali e innovative: siamo davvero di fronte ad un cambiamento di paradigma”.

Per capire e studiare le Comunità alpine occorre conoscere e valutare affinità e diversità, identità e alterità, cogliendo i veri “confini” come ha osservato Bonola: “Da questo libro su Fobello emerge la storia di Torino del Settecento, città verso la quale si indirizzava prioritariamente l’emigrazione fobellese. A Londra il Circolo dei Valsesiani fu fondato dagli albergatori fobellesi”.

Enrico Rizzi si è dichiarato piacevolmente sorpreso: “Dall’altissima qualità di questo lavoro” definito: “Uno dei più bei libri sulla Valsesia, che dimostra la forza della storia locale”, soffermandosi poi sull’Enigma Fobello, relativo alle origini della Comunità, ricordando come la pergamena di Sion del 1241 attesti come “Fo Bello” fosse già un insediamento, prima della colonizzazione Walser. Rizzi ha ricordato che: “La Valsesianità di cui parla Gambarotta nella prefazione potrebbe essere sciolta in Valsesiana Civiltà: civiltà della montagna che si erge accanto alla civiltà predominante della pianura, che merita di essere studiata e fatta emergere in tutto il suo valore. Da Fobello le persone partono, e lì tornano, come sottolinea anche Samuel Butler, facendo riferimento ad un incontro sulla vettura della posta con un cuoco fobellese”. Nel libro è emersa anche la ricchezza della documentazione fotografica ottocentesca, valorizzata dall’editore Luigi Garavaglia: “Che meriterebbe di essere nominato cittadino onorario di Fobello”. Bonola ha osservato come dalle numerose fotografie emerga un paese borghese, signorile, a differenza ad esempio di quanto è documentato nelle immagini della vicina Rimella. 

Mario Spanna, giornalista e scrittore fobellese partecipò nel 1932 alla compilazione del volume dedicato allo “Spopolamento montano in Italia”, un fenomeno: “Di cui siamo gli eredi più o meno consapevoli”, le cui prime avvisaglie erano già emerse nel saggio del Lizzoli sul Dipartimento dell’Agogna. La progressiva marginalizzazione del mondo agro pastorale è evidente anche in altre inchieste importanti. Dai fondamentali lavori di Pier Paolo Viazzo sull’emigrazione emerge la necessità di focalizzare l’attenzione su tre elementi: la professione degli emigranti, la destinazione e la stagionalità dell’emigrazione. Rizzi ha sottolineato l’importanza delle famiglie nell’emigrazione fobellese: “Tramandavano esperienze, collegavano i vari membri, creando un plus valore che oggi è venuto meno. Alcune dinamiche di ascesa sociale si colgono appieno solo esaminando la storia delle dinastie”. Dietro alla famiglia c’era la figura della donna, che aveva un ruolo fondamentale, come gli autori Cerri e Giacobino hanno evidenziato, dedicando proprio alle donne le ultime pagine del volume: “Generazioni di fobelline e cervattine che, da madri, mogli e sorelle hanno accompagnato i loro uomini lungo le vie dell’emigrazione a Torino e altrove, o, in loro assenza, provveduto a sostenere il carico della gestione familiare e del lavoro agricolo”. 

Affrontando il tema degli alberghi che furono al centro delle fortune dei fobellesi, Bonola ha analizzato analogie e differenze con gli albergatori di Alagna, e in particolare i Guglielmina, studiati nel recente volume anch’esso pubblicato da Zeisciu: “Albergatori alagnesi e fobellesi si incontreranno al Mottarone nel 1884”. I fobellesi da osti, brentatori, mescitori di vino si trasformarono in grandi albergatori. I corrispettivi alagnesi provenivano da altre professioni: notai, medici, proprietari di mulini, fucine, piste da canapa, segherie ad acqua, attività dalle quali ricavavano i capitali, poi investiti nell’industria alberghiera, attivata prevalentemente ad Alagna, che declinò rapidamente negli anni tra le due guerre, mentre i fobellesi avevano fatto le loro fortune in città e non avvertirono le difficoltà subentrate negli anni Quaranta e nel dopoguerra. Cerri ha ricordato come già nel Cinquecento i fobellesi facessero i brentatori: “Negli anni dell’Unità d’Italia i fobellini avevano in mano i due terzi degli alberghi di Torino”.

Bonola ha sottolineato che questo libro, oltre a contenere molte “storie”: sociale, economica, demografica, della civiltà alpina, concentrate in un individuo, in una famiglia, per scelta degli autori non ha conclusioni, lasciando aperte tante direzioni di lavori e riflessioni future, come le ricerche sulle epoche precedenti a quella moderna, avviate nei saggi di Roberto Fantoni. 

L’emigrazione, come ricordò Gianfranco Astori alla presentazione a Fobello, fu certo un impoverimento per la valle: se ne andavano i migliori ingegni che contribuivano allo sviluppo di altri luoghi, ma poi tornavano e restituivano alla Comunità d’origine, quanto avevano appreso emigrando. 

Il convegno si è concluso concordando sul fatto che la storia dell’emigrazione alpina vada ritracciata partendo proprio da questi nuovi modelli di studio.

Piera Mazzone

Piera Mazzone - Redazione