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Serravalle-Grignasco | 07 aprile 2025, 17:48

Pirandello in teatro a Serravalle

Pirandello in teatro a Serravalle

Pirandello in teatro a Serravalle

Serravalle in Cultura”: undici serate di teatro, musica classica, leggera e musical, sono davvero molte per un piccolo paese, ma grazie alla collaborazione della Pro Loco, all’indispensabile supporto di Anna Urban e Mauro Piolo, l’Amministrazione è riuscita a costruire un palinsesto, ricco e diversificato per coinvolgere tutte le tipologie di pubblico. Sono state invitate le Compagnie del territorio valsesiano, ma anche attori già noti, dando ampio spazio alle “glorie cittadine”: il benemerito Comitato Carnevale con l’inesauribile Gustavo Ferrara e l’Orchestra Seraval Band.

Venerdì 5 aprile si è conclusa la stagione degli spettacoli al teatro con una serata “per raccontare e raccontarci” attraverso le parole di Luigi Pirandello, nata da un progetto di Valentina Preite, che ormai è serravallese di adozione, insegnando da molti anni alle scuole elementari dove ha portato il suo grande amore per il teatro. I tre interpreti: Valentina Preite, Matteo Mancin e Alberto Regis Milano hanno letto, interpretato, commentato e “cantato” lo scrittore siciliano che vinse il Premio Nobel nel 1934, mentre se lo aspettava una decina di anni prima. Nel 1926 fu assegnato a Grazia Deledda, prima donna italiana e seconda donna a ricevere il Nobel per la Letteratura, dopo la scrittrice svedese Selma Lagerlöf, perché il Duce aveva fatto pressioni per non creare dissapori con D’Annunzio che, pur conosciuto anche in Svezia, non fu nemmeno preso in considerazione, forse per le sue idee politiche.

Lo spettacolo si apriva con una riflessione sullo “strappo nel cielo di carta”, che rappresenta la condizione dell’uomo moderno, metafora presente nel romanzo più importante dello scrittore siciliano: Il fu Mattia Pascal, pubblicato in rivista nel 1904 in un momento molto particolare della vita dello scrittore, l'anno successivo al grave dissesto finanziario che subisce la società del padre di Pirandello cui consegue l'irreparabile trauma psichico della moglie Antonietta,

Pirandello nacque a Caos, nella terra di Girgenti, Agrigento, si laureò in Germania a Bonn con una tesi sul dialetto agrigentino. Lo scrittore aderì esplicitamente al Fascismo nel settembre 1924, in uno dei momenti di massima crisi di Mussolini e del movimento, dopo il caso del delitto Matteotti. La decisione di Pirandello era coerente con la biografia intellettuale di chi, figlio di un ex garibaldino, disprezzava la classe politica "liberale", rivelatasi non all'altezza delle idee e dei propositi di rinnovamento che avevano guidato il moto risorgimentale, e riteneva, con accenti non privi di qualunquismo, la democrazia, cioè il governo della maggioranza, la causa vera di tutti i mali. Il vero stato d’animo di Pirandello di fronte al fascismo è stato fatto emergere attraverso la lettura di alcuni brani delle cinquecentosessanta lettere scritte a Marta Abba, fatta rivivere da Valentina Preite. Al momento della morte Pirandello, con le sue disposizioni testamentarie - far passare sotto silenzio la sua morte, carro di infima classe, divieto a parenti e amici di seguirlo, dispersione delle ceneri al vento - dribblava la "bella morte" fascista e lasciava uno sberleffo postumo e inaspettato a Mussolini.

Il tema delle maschere che ciascuno di noi indossa per presentarsi al mondo è al centro di: Uno nessuno centomila:Un’enorme pupazzata”. Chiarchiaro, il protagonista de: La patente, interpretato magistralmente da Alberto Regis, è convocato in tribunale per dare la sua versione dei fatti: anziché difendersi, o ritirare la denuncia, reclama con forza e convinzione di andare a processo, e anzi di poter ottenere un riconoscimento - una “patente”, appunto - del suo status di portasfortuna. L’analisi del protagonista è tanto acuta quanto spietata; se il mondo gli ha imposto, nella sua rozza ignoranza, una “maschera”, tanto vale accettare di propria volontà questa “parte” teatrale, fino a ricavarne il giusto tornaconto economico.

Dall’enorme passione per il teatro di Pirandello nasce: Sei personaggi in cerca d'autore, considerata l'opera teatrale più celebre di Luigi Pirandello, rappresentata per la prima volta nel 1921 al Teatro Valle di Roma: suscitò reazioni contrastanti nel pubblico, dividendolo tra entusiasti sostenitori e accesi detrattori. Il dramma mette in scena sei personaggi fittizi che irrompono durante le prove di una compagnia teatrale, chiedendo che la loro storia venga rappresentata. Così sono stati fatti salire sul palco a inscenare la vita sei personaggi, scelti tra il pubblico serravallese identificati non da un nome, ma attraverso i ruoli, per sottolineare la loro natura di archetipi, più che di individui specifici. Pirandello utilizza la tecnica del "teatro nel teatro" per mettere in discussione le convenzioni teatrali tradizionali e creare un effetto straniante nello spettatore.

L’uomo dal fiore in bocca è un atto unico scritto da Luigi Pirandello nel 1923, tratto dalla sua novella “La morte addosso”.

La scena si svolge in un caffè di una piccola stazione ferroviaria, luogo di passaggio desolato e spoglio, nelle ore tarde della notte, simbolo della transitorietà della vita. Due uomini, un pacifico avventore e l’uomo dal fiore in bocca, iniziano una conversazione apparentemente banale. L’uomo dal fiore in bocca - interpretato da uno straniante Alberto Regis, che lo ripropone a venticinque anni dalla prima interpretazione, caricandolo dell’esperienza e anche dei dolori che hanno costellato quest’ultimo quarto di secolo - osservando l’avventore, inizia a parlare con lui, mostrando un interesse quasi morboso per i dettagli insignificanti della vita quotidiana. Descrive con minuzia l’arte dei commessi nel confezionare pacchetti, soffermandosi su particolari che solitamente passano inosservati. Questo atteggiamento rivela una profonda sete di vita e un desiderio di aggrapparsi a ogni minimo dettaglio dell’esistenza, confessa di essere affetto da un epitelioma, un tumore maligno che lui chiama poeticamente “fiore in bocca”, che lo condanna a una morte imminente, rendendolo ipersensibile alla bellezza effimera della vita e alle piccole cose che la compongono. La conversazione si conclude con l’uomo dal fiore in bocca che, dopo aver condiviso la sua visione della vita e della morte, si congeda dall’avventore, lasciandolo con una nuova consapevolezza sulla fragilità dell’esistenza umana.

Piera Mazzone

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