In occasione degli ottocento anni del presepe di Greccio, l’Associazione varallese Imago Verbi aveva proposto: Ti racconto il presepe, una serie di incontri per far conoscere il vero Presepe “inventato” (inteso nel senso etimologico di cercare e poi trovare) da San Francesco, avviati con una Lectio del vescovo Franco Giulio Brambilla in Santa Maria delle Grazie. Il Vescovo, attraverso la lettura delle parole del primo discepolo di Francesco, Tommaso da Celano, riportate nella Vita Prima, aveva ricordato l’invenzione del Presepe, realizzato da Francesco nel 1223, tre anni prima di morire: “Francesco a Greccio vuole dunque fare memoria del Bambino nato a Betlemme”. A Varallo si ha la fortuna di poter godere di un presepe permanente e sempre aperto: il complesso di Betlemme al Sacro Monte, meta di una visita guidata dal vescovo stesso inserita nel programma degli eventi, che si era concluso il 2 dicembre con l’inaugurazione di una mostra di presepi e di opere d’arte ispirate al presepe, seguita dallo spettacolo: “La mia vera storia di Natale” ideato e rappresentato dalla Bottega Teatrale di Fontanetto Po. Al termine degli eventi era stata lanciata l’idea di organizzare una gita a Greccio, al lago di Bolsena dove, nella chiesa di Santa Cristina, avvenne il “miracolo eucaristico” e a Civita di Bagnoregio, la “città che muore”, che diede i natali a San Bonaventura, colui che cercò di conservare l'unità dei Frati Minori, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all'Ordine, incluso da Dante tra gli spiriti sapienti del IV Cielo del Sole, all'inizio del Canto XII del Paradiso: “Io son la vita di Bonaventura / da Bagnoregio, che né grandi offici / sempre pospuosi la sinistra cura”. Quel progetto si è concretizzato nell’organizzazione a ottobre di una gita in Umbria, cui hanno aderito una trentina di persone. Guide spirituali e culturali del gruppo sono stati Don Roberto Collarini, prevosto di Varallo e Rosa Angela Canuto Presidente di Imago Verbi. Comodamente trasportati a bordo di un moderno autobus guidato da Alberto Vaccari, autista provetto e pieno di attenzioni e premure, il gruppo dei partecipanti è giunto a Spoleto, dove dal 1967 al 1969 fu vescovo il futuro cardinal Ugo Poletti, che creò, all’interno del Palazzo Arcivescovile, il primo nucleo di quello che poi sarebbe divenuto il Museo Diocesano. Accolti da Don Bruno, parroco della pievania che comprende una serie di parrocchie raccolte intorno all’antica chiesa di San Gregorio, siamo stati accompagnati in una prima visita conoscitiva della città da Francesco, un giovane collaboratore parrocchiale, studente universitario. Il gruppo, utilizzando delle moderne scale mobili, perfettamente mimetizzate nell’ambiente, è salito alla Rocca Albornoz, fatta costruire dal vescovo-conte spagnolo come avamposto degli stati pontifici, oggi sede di un importante museo e conosciuta anche per la serie televisiva di Don Matteo. Dalla rocca è stato possibile ammirare il paesaggio dal Monteluco al ponte delle sette arcate, cogliendo l’urbanistica stratificata nei secoli, dalla città protetta dalle mura ciclopiche del IV sec a.C., a quella romana, fino ad ammirare la nuova cinta urbica, munita di torri di guardia e di porte costruita alla fine del Duecento. Proseguendo si è scesi al Duomo percorrendo l’Arringo, una scalinata che scende verso la piazza, colpiti dalla maestosità della facciata con il rosone cosmatesco e la Deesis (termine greco che significa supplica, intercessione) rappresentata nel mosaico di Solsterno (1207) con la Vergine Maria e san Giovanni Battista che affiancano Gesù Cristo benedicente e intercedono per la salvezza dell'umanità, tante volte ammirato nelle riprese televisive durante il Festival dei due mondi, ideato nel 1958 dal Carlo Menotti, conosciuto oggi con il nome di Spoleto Festival, manifestazione internazionale di musica, arte, cultura e spettacolo. All’interno del duomo - costruito tra l’VIII e il IX secolo nel momento in cui, alla fine della dominazione longobarda, si consolidò il potere della Chiesa e delle sedi vescovili – nell’abside, sono conservati i preziosi affreschi di Filippo Lippi, con le Storie della Vergine, mentre nella Cappella dell’Assunta o di Francesco Eroli, vescovo committente raffinato, è stato possibile ammirare gli affreschi di Bernardino di Betto, detto Pinturicchio. Il meraviglioso pavimento musivo della navata centrale è ancora quello a motivi cosmateschi della costruzione romanica, composto da tessere di pietra, porfido e serpentino. Nella Cappella del Crocefisso è collocata la croce dipinta da Alberto ‘Sotio’, caposcuola della pittura spoletina, firmata e datata 1187. Spoleto, sede di un importante ducato longobardo, fu rasa al suolo nel 1155 dall’imperatore Federico Barbarossa, che lasciò una preziosa icona mariana, oggi conservata nel duomo. Dopo la Messa celebrata da Don Roberto in San Gregorio, la visita alla cripta e una sosta per ammirare gli antichi affreschi, è seguita una cena nel tipico ristorante spoletino Old Pig. Il giorno dopo partenza per Greccio, gemellata con Betlemme: il santuario, incassato come un nido d'aquila nella roccia dei monti Sabini, ad un'altitudine di 665 m s.l.m., a due chilometri di distanza dell'antico borgo medievale di Greccio, e circa quindici km dal capoluogo Rieti, è il più noto dei quattro santuari della Valle Santa reatina (insieme a Fonte Colombo, al santuario della Foresta e a Poggio Bustone). La guida Antonietta è riuscita a trasmettere l’entusiasmo e il senso della gioiosa sacralità di un luogo che spesso è stato meta di visite papali, anche inattese, come nel 2016 quando si presentò Papa Francesco. Accolti dai Francescani in questo “luogo ricco di povertà”, che ebbe un connubio forte con Francesco, essendo stato l’eremo che amava di più, il gruppo ha visitato la Cappella del Presepio, che costituisce il cuore del santuario, costruita attorno alla grotta dove, secondo la tradizione, si sarebbe svolta la rappresentazione della Natività da parte di Francesco, la vigilia di Natale del 1223. Nella chiesetta del 1228, che conserva ancora l’altare originale, si respira un’aria particolare, rimarcata da tutto il gruppo. Nel Museo del presepio una delle prime opere esposte era un presepe di Pray Biellese, ambientato in una spola da telaio. Discesi a Greccio è stato visitato il borgo medioevale, già citato nei documenti dell’XI secolo, che conserva intatta la struttura tipica del ‘castrum’ fortificato, circondato da mura e torri. In cima al borgo domina la Chiesa Collegiata di San Michele Arcangelo, con tele e affreschi del Cinquecento e la curiosa torre campanaria staccata dalla chiesa, riedificata sui resti della maggiore delle torri di cinta. Le case del paese di Greccio sono arricchite degli affreschi che danno vita al “Sentiero degli artisti”.
Nel pomeriggio sosta per ammirare una meraviglia della natura: la cascata delle Marmore, la più alta cascata artificiale d'Europa e tra le più alte del mondo, potendo contare su un dislivello complessivo di 165 metri suddiviso in tre salti. A flusso controllato, è formata dal Velino e dal Nera, affluenti del Tevere, nei pressi di Terni, quasi allo sbocco della Valnerina. La nostra guida, Sebastiano, ha spiegato che la cascata era già conosciuta dal naturalista romano Plinio il Vecchio e il suo nome viene dal fatto che l’acqua del Velino, ricca di carbonato di calcio, lascia uno strato di calcare che in pochi mesi si solidifica e si trasforma in una roccia resistente. La presenza di un particolare muschio che accoglie il calcare, si forma la roccia sponga, che vagamente ricorda una spugna, identificata dal punto di vista geologico come travertino, utilizzata per le parti sommitali degli edifici pubblici. Il fascino dell’orrido attirava i viaggiatori romantici, e Byron non fece eccezione, dedicando immortali versi a queste cascate. Al termine trasferimento ad Orvieto, con una breve presentazione della città costruita su un’alta roccia di tufo, quasi un’isola nel mare verde della campagna che la circonda. L’albergo si trovava ai piedi della rupe basso, lungo la strada ad alto scorrimento, ma un piccolo gruppo di nottambuli, capeggiati da Don Roberto, dopo la cena è salita ad Orvieto, godendosi la visione del duomo illuminato e passeggiando nella parte antica della città.
Al mattino, dopo aver incontrato la nostra guida Annalisa in Piazza delle Armi, le visite sono iniziate con la discesa al pozzo di San Patrizio, utilizzando la doppia scala a chiocciola. Il pozzo è opera di altissima ingegneria progettata dall’architetto Antonio di San Gallo, fatto scavare da Papa Clemente VII che si era rifugiato a Orvieto nel 1527 durante il sacco di Roma e proseguito con Papa Paolo III Farnese. Salendo verso il duomo la strada era costeggiata da botteghe artigiane, con esposte molte immagini del Corpus Domini, un corteo storico nato nel 1951, per iniziativa di Lea Pacini. In un laboratorio ceramico: L’arpia abbiamo potuto ammirare la Sirena Caudata blu cobalto e verde manganese, con i tipici decori della città, maestoso il Palazzo del Popolo risalente alla fine del Duecento, con decori floreali e a scacchi dovuti alla presenza dei premostratensi, che avevano un’abbazia sulla collina. Curiosa la storia dell’Orvietan, un amaro erboristico composto utilizzando venticinque erbe officinali, già conosciuto nella Parigi di Molière, la cui ricetta segretissima viene ancora oggi utilizzata per produrre l’amaro commerciato in tutto il mondo. La Torre del Maurizio, è legata alla storia del duomo: fu costruita per accogliere un grande orologio che doveva servire a segnare il tempo del cantiere della cattedrale con i turni di lavoro, e ci ricorda le fatiche di coloro che elevarono quella meraviglia. La cattedrale di Santa Maria Assunta fu completata in trecento anni, senza tecnologia, senza computer, senza motori. La facciata tricuspidata, realizzata in trent’anni, quasi irreale, tanto è complessa e leggera, integra armoniosamente stili e progetti iconografici, arrivando fino alla contemporaneità con il portale scolpito da Emilio Greco con le Sette opere di Misericordia, in cui è stato raffigurato Papa Giovanni XXIII mentre visita i carcerati di Opera. Al centro della facciata catalizza gli sguardi il rosone dell’Orcagna, scolpito nel 1354, con nel cuore la testa del Salvatore.
L’interno è altrettanto maestoso e spaesante per ricchezza e ampiezza: la Cappella Nova, denominata anche di San Brizio, nota come la Piccola Sistina del Centro Italia, decorata da un ciclo di affreschi che illustrano il Giudizio Universale e l’Apocalisse, iniziati dal Beato Angelico, ripresi nel 1499 e completati nel 1503 da Luca Signorelli, che fu pagato con molto denaro, una bella casa in cui abitare e il buon vino di Orvieto a volontà, restaurata nel 1996, è stupefacente per i colori e il senso della composizione, con quell’anticipazione di Michelangelo nelle figure nude davanti al Giudizio universale. Il compianto del Cristo morto tra la Maddalena e Maria Vergine, svela un particolare molto intimo: il volto di Cristo sarebbe quello del figlio di Signorelli, morto giovane. Nella Cappella del Corporale, decorata da Ugolino di prete Ilario con uno cicli trecenteschi più estesi come superficie dipinta, è conservato il Sacro Lino portato da Bolsena.
Nel primo pomeriggio si riparte per Civita, frazione di Bagnoregio, piccolo borgo del Viterbese, situato nel mezzo della valle dei Calanchi, conosciuta come “Civita che muore” perché la rupe su cui sorge si sgretola di qualche millimetro ogni anno. Negli ultimi anni Civita è tornata a vivere, anche grazie al ponte che la collega, ma soprattutto grazie a una strategia di marketing territoriale attivata dall’amministrazione comunale e da un gruppo di giovani del paese che hanno creato e gestito il nuovo portale turistico. Oggi Civita non muore più e richiama un milione di visitatori all’anno. Oltrepassata la porta Santa Maria, o della Cava, o del Cassero, l’unica rimasta delle cinque porte della città e l’unico accesso all’abitato, si entra nel corridoio di origine etrusca, scavato nella roccia e, seguendo l’antico decumano, si arriva al Foro, oggi Piazza San Donato, sulla quale si affacciano antichi palazzi e il Duomo, oggi chiesa parrocchiale, che fu Cattedrale fino al 1699. La pittoresca “città degli asini e dei gatti”, perché all’interno non circolano mezzi meccanici, è un invito ad inoltrarsi nei vicoletti per scoprire scorci inediti, o entrare nell’Orto del Poeta, dove un tempo Geremia coltivava fiori, verdure, alberi da frutta e scriveva poesie, oggi sede di una Cooperativa agricola che vende prodotti a chilometro zero, soffermarsi per ammirare i profferli, caratteristici dell'architettura medievale del Lazio: scale esterne, terminanti con un ballatoio sostenuto da un'arcata. Un ristorante, che sorge in un antico frantoio del XVI secolo, espone ancora i fiscoli, recipienti filtranti in cui venivano poste le olive macinate per sottoporle alla torchiatura. A Civita arrivò come Governatore Reginald Pole, cardinale e arcivescovo cattolico inglese, tra i maggiori protagonisti dell'età della Controriforma. Rientrando a Bagnoregio, dove attendeva il nostro autobus, siamo passati accanto al Museo Piero Taruffi, dedicato al famoso pilota automobilistico, ingegnere, progettista, la cui storia è parallela a quella del fobellese Vincenzo Lancia
L’ultima tappa del viaggio è stata Bolsena, adagiata sulle sponde di uno tra i maggiori laghi italiani, di origine vulcanica, con al centro due isole. La Basilica di Santa Cristina, dedicata alla giovane martire cristiana, che subì il martirio agli inizi del IV secolo, nel 2013 fu dichiarata porta giubilare da Papa Benedetto XVI. In una nicchia è conservata una moderna immagine di Santa Maria della Pace, Marianna Giuliani, Francescana, Missionaria di Maria, che come Cristina subì il martirio, decapitata in Cina nel 1900, canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000. Nell’interno il gruppo, varcando un’antica cancellata in ferro, è scesa nella basilichetta ipogea di Santa Cristina, identificata come luogo di sepoltura della martire, dove è stato edificato un monumento funebre sul quale giace una stupenda statua in terracotta raffigurante Santa Cristina nel dolce abbandono della morte, opera di Benedetto Buglioni. Dalla cripta si accede alla necropoli paleocristiana scavata nel tufo, cimitero della primitiva Comunità Cristiana, con le sepolture più antiche in alto.
La solennità del Corpus Domini nacque nel 1247 nella diocesi di Liegi, in Belgio, per celebrare la reale presenza di Cristo nell'Eucaristia in reazione alle tesi di Berengario di Tours, secondo il quale la presenza di Cristo non era reale, ma solo simbolica. Nella basilica nel 1263 si verificò il “miracolo eucaristico”: un sacerdote di origine teutonica che aveva dei dubbi sulla reale presenza del Cristo nel pane e nel vino, al momento dell’elevazione vide scendere dall’ostia spezzata gocce di sangue che macchiarono il corporale e le pietre a terra. Fa da pala all’altare maggiore un polittico quattrocentesco opera del senese Sano di Pietro, davanti al quale Don Roberto ha celebrato la Santa Messa, ricordando nell’omelia: “Il fuoco della Santa, il fuoco del miracolo eucaristico e il fuoco che va tenuto acceso nei cuori e nelle relazioni, perché brucia, illumina e scalda”. Prima di ripartire ancora il tempo per addentrarsi nel paese o salire alla rocca per godere del panorama circostante, ma anche per raccogliere le ultime “erbe”, bottino del nostro botanico Gianfranco Rotti. Nel viaggio di ritorno canti, ricordi, e soprattutto la gioia per aver condiviso dei giorni di vita ricchi di Fede, bellezza e armonia, con persone che hanno dimostrato sempre un grande spirito di gruppo e con le quali si è creata un’immediata empatia.