Il Centro Sociale di Via Giordano a Borgosesia era gremito in occasione dell’incontro: “La violenza contro le donne: un dramma quotidiano”, organizzato da Collettivo Impegno Attivo Valsesia, Centro Studi Turcotti, Comune di Borgosesia, Soroptimist Club di Valsesia, per ricordare i dieci anni della Casa di accoglienza Giovanna Antida, nata per accogliere le donne vittime di violenza, o in grave condizione di fragilità, sole o con figli, e della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Alberto Regis Milano, Presidente dell’Associazione Agape, Ente del Terzo Settore (ETS), costituita come Associazione di volontariato, che gestisce la Casa, ha brevemente riassunto i primi dieci anni di una storia con tanti attori che hanno contribuito a farla nascere e crescere, facendola diventare un punto di riferimento nell’ambito di erogazione di servizi sociali a livello regionale e nazionale. Nel 2008 – 2009 alcuni volontari della Caritas parrocchiale, con le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret avviarono un’indagine sul territorio per valutare le necessità più impellenti dal punto di vista sociale, individuando i bisogni e le “nuove” povertà. Nel 2010 seguì un’opera capillare di informazione dell’opinione pubblica, fu ufficialmente costituita l’Associazione e si cominciò a cercare un immobile per ospitare la Casa. Il Comune offrì in comodato gratuito quarantennale il primo e il secondo piano di un immobile di proprietà comunale, che Agape, a proprie spese, ristrutturò completamente ed arredò, con una spesa che sfiora il milione di euro. Il 23 novembre 2011 fu organizzata una tavola rotonda: “Dalla violenza alla speranza” con operatori sociosanitari e territoriali. Nel 2013 dal 4 aprile al 18 maggio, fu proposto un corso di formazione per i futuri volontari. Il 25 febbraio 2014 la Casa fu inaugurata con la presenza del Vescovo, Franco Giulio Brambilla, dell’allora Sindaco di Borgosesia, Alice Freschi, e del compianto Presidente dell’allora Comunità Montana Valsesia, Pierangelo Carrara. Da Casa di prima accoglienza, pronto soccorso sociale per donne con bambini, che prevedeva l’ospitalità per tre mesi, prolungabile fino a sei mesi, si è passati a: Casa di accoglienza comunitaria di donne sole o con bambini, perché i tempi per costruire un percorso di vita che preveda il reinserimento e il raggiungimento di una nuova autonomia sociale e lavorativa, sono molto più lunghi di sei mesi.
La struttura ha una superficie di 650 mq e dispone di otto camere spaziose, dotate di servizi privati, e di ampi spazi comuni. Dall’anno dell’inaugurazione la Casa ha accolto 173 ospiti, di cui 74 minori, di diversa nazionalità. Il funzionamento è affidato ad un’équipe educativa composta da una psicologa psicoterapeuta con funzioni di direzione e coordinamento, Manuela Cuccuru, una coordinatrice educativa, una operatrice con laurea triennale in scienze psicologiche, una O.S.S. con laurea in scienze dell’educazione, una O.S.S., una impiegata amministrativa, una operatrice addetta all’assistenza, due operatrici addette alle attività polivalenti. Il gruppo di lavoro si avvale della consulenza di una psicologa psicoterapeuta con il ruolo di supervisore dell’équipe, una psicologa psicoterapetuta dedicata al supporto individuale delle ospiti della Casa. In stretta sinergia con l’équipe educativa operano ventitrè volontari
Negli ultimi mesi si è assistito ad un aumento delle donne che chiedono accoglienza, come ha confermato la Direttrice Manuela Cuccuru, e talvolta è stato necessario rifiutare l’accoglimento, perché la Casa aveva ormai raggiunto il massimo della capienza: “Le donne ospitate provengono da Milano, Torino e dal Pavese. C’è stata anche una evoluzione del tipo di accoglienza: dalle donne vittime della tratta si è passati alle donne vittime di violenza, e, per la quasi totalità, si tratta di donne con bambini: tante donne decidono di denunciare proprio per i figli”.
Livia Zancaner, giornalista del Sole 24 Ore, che vive a Milano, ma è borgosesiana d’origine, coordinatrice dell’evento, ha osservato che nonostante la legislazione italiana sia molto avanti su questi temi, i numeri circoscrivono una realtà drammatica: “Ogni tre giorni una donna viene uccisa, più di seimila donne a oggi, hanno subito violenze sessuali, con una media di sedici al giorno, e di queste un terzo sono minorenni. La violenza contro le donne riguarda tutti e tutte: il femminicidio di Giulia Cecchettin ha avuto un ruolo dirompente: era una ragazza normale, prossima alla laurea, non c’erano precedenti di violenza, eppure è stata massacrata dal fidanzato. C’erano state tutte le avvisaglie nella gelosia ossessiva che traspariva dalle telefonate e dalle stesse parole di Giulia alle amiche”.
All’incontro hanno partecipato due rappresentanti delle Forze dell’Ordine: Tiziana Barone, Maresciallo Maggiore, addetta alla Stazione Carabinieri di Vercelli, e Antonio Marini, Luogotenente Comandante della Stazione dei Carabinieri di Borgosesia. Tiziana Barone, che riceve le denunce, ha premesso che chi si occupa di questi casi ha ricevuto dall’Arma una formazione specifica, facendo notare che c’è stata un’evoluzione nelle richieste, con un abbassamento dell’età delle donne che chiedono aiuto: “Raramente le donne vengono in Caserma per denunciare, ma si interviene al culmine delle violenze che spesso coinvolgono anche i figli come violenza assistita e allora si deve cercare di farle parlare, ascoltare senza interrompere, lasciando placare le emozioni”.
Antonio Marini, da otto anni comandante della Stazione di Borgosesia, operando su un territorio molto vasto che comprende anche Quarona, Cellio, Breia e Valduggia, ha segnalato che i casi di violenza sono in aumento: “Quest’anno finora abbiamo avuto ventidue casi in codice rosso e quaranta situazioni altamente pregiudizievoli: aumentando l’informazione molte donne prendono coraggio e denunciano. Nella maggior parte dei casi sono donne con figli. Quando accade, e spesso succede di notte e nei fine settimana, si avverte il Magistrato di Vercelli che dà le disposizioni di legge con immediata esecutività, prevedendo l’immediato allontanamento dalla casa famigliare”.
Scrivere della violenza in maniera corretta e non sensazionalistica, dovrebbe essere obbligatorio, mentre purtroppo, come ha fatto notare la giornalista ed insegnante Chiara Ronzani, si leggono ancora articoli dai titoli fuorvianti: “Ci sono parole da non usare e questo i giornalisti dovrebbero saperlo, ma soprattutto attenersi: scrivere male fa male alle donne e soprattutto la violenza non è mai amore”. Chiara ha evidenziato come la donna uccisa non abbia più voce: le parole della vittima non potranno mai essere ascoltate. Un altro errore in cui purtroppo talvolta incorrono i giornali è la pubblicazione di immagini stereotipate, spesso confezionate ad hoc, che non aggiungono nulla, ma mostrano la donna debole e vittima, senza invece presentare il maltrattante: “Anche questo contribuisce alle narrazioni distorte della violenza”
In trappola, pubblicato da Il sole 24 Ore: scritto da Chiara di Cristofaro, Simona Rossitto e Livia Zancaner, tratta in modo agile e con grande schiettezza il tema: Giovani e linguaggio. Come liberarsi dagli stereotipi sessisti. E’ un libro focalizzato sui giovani, ma con molti interlocutori, magistrati, insegnanti, pedagogisti, persone che lavorano a contatto quotidiano con il disagio. “I ragazzi vivono sui social, iniziano relazioni e le portano avanti sui social. Dal controllo sui social si passa al controllo nella vita reale. La musica Trap, dal linguaggio e dai messaggi molto violenti e sessisti, non va demonizzata, ma ascoltata e spiegata: non si deve negare la realtà, bisogna cercare la relazione, questa è l’unica strada possibile”.
Al termine dell’incontro sono intervenute Lorenza Stocchi ed Eleonora Gioria, docenti rispettivamente all’IPSAR Magni di Borgosesia e all’Istituto Alberghiero, sede di Gattinara, che hanno proposto ai loro studenti il questionario elaborato dalle autrici del lib
ro, ragionando con loro su questi temi: “I ragazzi sentono il bisogno di parlare con degli adulti, poiché in famiglia spesso manca il dialogo”. Lorenza Stocchi ha concluso citando l’articolo scritto da Dacia Maraini, Solo la scuola può salvarci dagli orribili femminicidi, pubblicato sul “Corriere della Sera” il 30 giugno 2015, che era stato proposto come traccia all’esame di maturità suppletiva 2023, spiegando che oggi i ragazzi dal punto di vista teorico dell’informazione sono molto preparati, ma non lo sono altrettanto quando diventano potenziali vittime: “La cosa più triste è la sfiducia nelle istituzioni civili e scolastiche che spesso colpevolizzano le donne. Purtroppo manca un’educazione all’affettività istituzionalizzata”.
Il sogno del Presidente di Agape, Alberto Regis Milano: chiudere la Casa perché non è più necessaria, è ben lontano dal realizzarsi, ma ognuno può riflettere e impegnarsi a combattere la violenza fisica, psicologica ed economica.
Piera Mazzone