ATTUALITÀ - 30 gennaio 2025, 07:10

La Valsesia piange Ennio Reolon

Il ricordo dell'amica Piera

Ennio Reolon

Ennio Reolon

Non avrei mai voluto scrivere queste parole, sono venute loro e un po’ le odio. Sono stata fortunata ad averti incontrato nel 2011: era appena morta la mamma, uscivo in lacrime dallo studio del geometra, Tu passavi con Zoe, il tuo magnifico pastore tedesco, mi chiedesti cos’era successo. Nella vita il Destino mescola le carte, ti raccontai tutto, come ad un amico di sempre. Da allora è sempre stato così, sei il mio migliore Amico. Scherzando ti dicevo sempre che eri una tomba: in ogni scomparto confidenze, silenzi, segreti che ti venivano affidati e che mai sarebbero stati rivelati. Mi sei stato vicino nella buona e nella cattiva sorte, condividendo gioie e dolori, mi hai aiutata a superare il momento più difficile della mia vita, macinando giorno dopo giorno centinaia di chilometri. Sei un grande fotografo, di quelli di razza, che diventano invisibili, riuscendo a cogliere le sfumature e i particolari: in migliaia di foto hai raccontato tutti gli avvenimenti culturali della Valle e non solo. Se dovessi descriverti direi: un gentiluomo di stampo antico, generoso, gentile, discreto, estremamente onesto, ma rigoroso fino all’intransigenza: “Fai come vuoi, ma sappi che non è corretto” mi ammonivi, spesso replicavo stizzita, ma poi ci ripensavo. La tua educazione severa era l’unico modo che conoscevi per stare al mondo, conservavi l’orgoglio del lavoro fatto bene, sempre. A volte i tuoi silenzi e lo sguardo erano più eloquenti di mille parole. Come è normale non passeggiavamo sempre insieme, perché ci piacevano sentieri diversi, ma tenevamo in mente il percorso dell’altro per intersecarlo, prima di tornare a casa. Sapevi dare affetto anche senza usare le parole, con quelle mille piccole e delicate attenzioni: salire sulla tua Panda blu era come sedersi su un cocchio regale, dal quale naturalmente scendendo non mancavi mai di porgere la giacca da indossare. Inappuntabile, prudente: sbagliare strada non ti innervosiva, anzi significava scoprire luoghi nuovi. Nessuno cucinerà mai più le zucchine come Te e non berrò più il mirto ghiacciato, ma forse imparerò ad essere in orario: tu eri sempre in anticipo. Sei riuscito a farmi incontrare il Dottor Marucchi, una persona umana, sinceramente costernato: Ti aveva visitato venerdì. Il caffè brontolava aromi sulla piastra della stufa e noi pregustamo quel piccolo rituale che ora non posso più condividere. Ho aperto distrattamente la scatola dei biscotti dell’Enrico, che offrivi a tutti con grande generosità, ne ho preso uno domandandomi: “Anche ai biscotti si ferma il cuore?”, ho chiuso il pugno, si è tutto sbriciolato. Intelligente, ironico, curioso, partecipavi sempre con entusiasmo: discutevamo per ore di film, di libri, di poesia e di teatro, eri un interlocutore attento, ma implacabilmente logico. Sabato sera ci siamo rivisti: C’era una volta in America, il torrenziale film di Sergio Leone e dopo quattro ore e mezza abbiamo ancora discusso, completamente ignari che quella sarebbe stata la tua penultima notte. Flora, la mia Amica saggia, che Ti apprezzava molto, mi ha ricordato che la vita è come un cerino, lo strofini e si accende di luce e calore, soffi e non c’è più niente, ma ha illuminato la notte. Sara, la mia amata figlioccia, mi ha scritto: “Ti faceva luce quando lo vedevi e lo sentivi parlare, come era amato qui sarà amato per l’eternità”. Pensavo che la vita fosse uno scivolo, Tu mi hai fatto capire che è una rampa di lancio: sei salito così velocemente che non riesco a vederti con questi occhi, ma sono avvolta dalla scia luminosa del tuo affetto. Ervana, Eralda, Heliar, Ennio: papà Vittorio scelse tutti nomi con la E: ad aprile 2017 nello stesso modo discreto se ne era andato Heliar, lo seppimo rientrando da Vercelli. In tutti questi anni hai incessantemente lavorato per catalogare il suo immenso archivio fotografico, che comprendeva anche quello di Tuo padre, avevi quasi finito, ti è sfuggito il tempo, ma c’è un futuro, tua figlia Elisa, che tanto ti somiglia nei colori e nel carattere, tuo nipote Gabriel del quale dicevi: “Farà grandi cose, ma io non le vedrò”. A febbraio 2023 se ne era andata Pat, la persona con la quale avevi condiviso gli ultimi vent’anni, della quale avevi sorretto l’incedere incerto, mentre i tuoi cinquemila passi giornalieri sono sempre stati sicuri e leggeri alla terra, nel massimo rispetto per tutti gli esseri viventi, perfino le zanzare: “Anche loro hanno una mamma!” Cosa farò ora senza di Te? Continuerò a fare le cose che abbiamo condiviso, lavorerò pensando che ho un dovere da onorare, con onestà e generosità, come mi hai insegnato con il tuo esempio, anche se ora tutto mi sembra in salita, impossibile da scalare. Il pensiero magico induce a credere di poter modificare ciò che è accaduto, di poter tornare indietro, mi sento invece consegnata alla irrimediabilità del passato che non si può modificare riavvolgendo il nastro, o inserendo un nuovo rullino, chiedo solo che il nostro dialogo non si inaridisca in un monologo di rimpianti. Il silenzio non ha bisogno di essere riempito di cose dette a vanvera, tanto per parlare, le tue parole attraverso le fotografie sono come semi che tornerò a far germogliare. Mi resta Fortuna, la tua Super Gatta, che è rimasta lì accanto a Te a vegliarti, scendendo quando sono arrivata e guidandomi nella speranza che potessi aiutarti. Mi hai fatto quest’ultimo regalo: con la compostezza e la dignità che erano le tue cifre, Ti sei addormentato, dopo aver lavorato al computer, avvolto nelle coperte, con un viso sereno. Certo sei un’anima senza bagagli, non eri attaccato alle cose. Il nostro destino è un altro, questo è solo un breve tratto, hai portato con te solo gli affetti, i momenti belli, l’amicizia. Forse in cielo c’era bisogno di Te: non avrai sicuramente perso tempo, sarai lì a fotografare gli angeli che fanno capriole con queste nuvole bianche che oggi stracciano l’azzurro, dopo aver scacciato la tristezza di un’uggiosa pioggiolina. Mandami un file zippato, non lo pubblicherò, ma rivedrò tutte le Persone che abbiamo amato. Coloro che hanno appreso la notizia della tua morte hanno sul viso una certa espressione di estrema vulnerabilità, nudità e trasparenza: sappiamo che qualcuno che ci è vicino potrebbe morire, ma non spingiamo lo sguardo oltre. Ho iniziato scrivendo al presente, proseguendo con l’imperfetto: l’imperfezione di un lutto che rimarrà per sempre a mezz’aria, ma al di là della morte resta sempre la vita. Sono dentro un sottomarino, posato silezioso sul fondo dell’oceano, consapevole delle cariche di profondità che, ora vicine, ora lontane, mi bombardano di ricordi. Grazie di tutto Ennio, Amico per l’Eternità.

Piera Mazzone

Redazione

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