Borgosesia - 18 marzo 2025, 14:40

Borgosesia: “Democrazia afascista”, scritto da Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati

La presentazione del saggio al Cinema Lux

Borgosesia: “Democrazia afascista”, scritto da Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati

Borgosesia: “Democrazia afascista”, scritto da Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati

Giovedì 13 marzo al Cinema Lux di Borgosesia, è stato presentato il saggio: “Democrazia afascista”, scritto da Gabriele Pedullà, saggista e narratore, docente all’Università di Roma Tre, e Nadia Urbinati, politologa, docente presso la Columbia University, proponendo un dibattito con David Bidussa, scrittore e storico. A condurre la serata Silvana Patriarca, docente di Storia Contemporanea alla Fordham University di New York, che nel 2021 aveva presentato all’Istorbive: Il colore della Repubblica. “Figli della guerra” e razzismo nell’Italia postfascista”.

L’incontro è stato organizzato dall’ANPI di Gattinara, e dall’Istorbive, in collaborazione con il Comitato Provinciale ANPI, ANPI Varallo e Alta Valsesia, ANPI Borgosesia e con il Cinema Lux, che spesso ospita presentazioni e dibattiti, di grande interesse e attualità.

Il termine Afascista, inteso come non-fascista, con una costruzione “alla greca” con l’alfa privativo davanti, come in tanti neologismi affini della lingua italiana (apolitico, amorale, aconflittuale, apartitico, agnostico) ha una storia, forse più interessante di altre, che vale la pena ripercorrere. La nascita politica e letteraria della parola afascista è dovuta a Mussolini, che così denominava, nella primissima fase del regime, i super partes, la maggioranza silenziosa che non era né con lui né contro di lui, da blandire e conquistare con l’evidenza dei risultati. Ma col consolidarsi del regime e della sua violenza, il termine afascista, usato come sinonimo di indifferente, si ingrossa di significati sempre più dispregiativi: “massa opaca e inerte […] Gente ottusa di cervello e di cuore […] Poveri gufi condannati a svolazzar di notte”, nelle parole di Giovanni Gentile. Gente disprezzabile irresistibilmente attratta dalla “melodiosità della fifa civile”, nell’oratoria antiborghese di Paolo Orano. Saranno poi, nel Dopoguerra, due figure di spicco a recuperare il termine e ad attribuirselo: il Costituente Roberto Lucifero, liberale monarchico con passato di partigiano e il grande romanziere Giuseppe Berto, con un passato fascista e una paranoica ostilità verso quegli intellettuali, antifascisti dichiarati, che gli negavano riconoscimento letterario. Le parole deliberatamente provocatorie del leader dell’ala più reazionaria del Partito liberale scatenarono un ampio dibattito a cui presero parte alcune delle figure più autorevoli dell’assemblea costituente, da Emilio Lussu a Palmiro Togliatti sino ad Aldo Moro, i quali – contro di lui – difesero le ragioni della Costituzione antifascista che si stava scrivendo in quei mesi. Gli afascismi di Berto e Lucifero appaiono caratterizzare, secondo gli autori, il pensiero dell’attuale Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. C’è la prospettiva bertiana della minoranza che si percepisce marginalizzata e perseguitata dai “gruppi di potere” e c’è una visione a-ideologica e formalistica della democrazia, incarnata da Lucifero, il quale nei suoi interventi all’Assemblea costituente auspicava una carta costituzionale priva di riferimenti al fascismo come all’antifascismo, che svolgesse una funzione di pura cornice giuridica e procedurale. Nel dopoguerra il vocabolo non scomparve del tutto, anche se venne utilizzato prevalentemente dagli storici per descrivere alcuni settori della società, o categorie professionali, che non avevano aderito al regime, pur non contrastandolo in forme attive: i cattolici, i militari, la pubblica amministrazione. Oggi il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si rifiuta di definirsi antifascista, pur dichiarandosi al tempo stesso incompatibile con qualsiasi nostalgia del fascismo, per presentarsi come la donna del fare, capace di guardare avanti, portando avanti il concetto secondo il quale fascismo e antifascismo sono ormai un passato storicizzato e archiviato.

Bidussa ha evidenziato quattro categorie che definiscono la “democrazia afascista”: avaloriale, ipermaggioritaria, notabiliare e aconflittuale, spiegandole e interrogandosi sul destino della politica e della democrazia. Urbinati, citando le parole del filosofo Norberto Bobbio, ha ricordato che la maggioranza è una parte e non il tutto, che l’attuale, risultato delle recenti elezioni, è comunque a termine: “C’è sempre una penultima maggioranza: gli elettori, i cittadini, non firmano un mandato in bianco, ma delegano a rappresentarli”. Pedullà ha osservato come oggi si riproponga una élite di notabili inattaccabili, distaccati dal corpo della cittadinanza, frutto dell’attacco alla casta dei partiti portata avanti negli ultimi venti-trent’anni, ma arroccarsi su: “Chi vince governa e gli altri stanno zitti” sarebbe una grande banalizzazione, l’aveva già capito Machiavelli con la “teoria del conflitto”. Urbinati ha sottolineato come la nostra Costituzione sia “tanto conflittuale” perché nasce dall’esperienza di uomini e di donne che avevano combattuto il fascismo ed erano consapevoli che il conflitto è il sale del dibattito: “Essere insofferenti verso qualsiasi forma di dissenso è miope e la democrazia non può diventare solo una tecnica di governo”.

L’idea meloniana di una democrazia dirigista, rapida nella deliberazione (di qui l’enfasi sul premierato e l’insofferenza verso i tempi lunghi della democrazia parlamentare), paladina della “governabilità”, ostile al dissenso, incurante dell’egualitarismo e della giustizia sociale (che invece sono carne e sangue di una democrazia valoriale e antifascista) si apparenta alla democrazia “minimalista” della Trilateral Commission, promossa dal magnate David Rockefeller nel 1973 tra un gruppo di cittadini Nord Americani, Europei e Giapponesi con la finalità di offrire ai soci un forum permanente di dibattito per approfondire i grandi temi comuni alle tre aree interessate, diffondere l’abitudine a lavorare insieme per migliorarne la comprensione e fornire contributi intellettuali utili alla soluzione dei problemi affrontati. La Trilaterale fu giudicata da alcuni come un organismo decisionale con la pretesa di guidare il mondo capitalistico in luogo dei legittimi governi.

I cittadini oggi non si accontentano di un generico e anestetizzante: “Lasciatemi lavorare e vedrete che i risultati arriveranno”: La persone che votano sono sempre di meno e questa caduta di partecipazione al voto si riscontra con maggior evidenza nelle classi più povere e meno integrate: “Se pochi vanno a votare, quelli che vinceranno saranno una minoranza”. E’ quindi importante riconquistare i cittadini alla partecipazione: Pedullà ha citato due politici che stanno cercando di farlo con strategie ed esiti molto diversi: “Per Jean-Luc Mélenchon, politico francese, fondatore nel 2008 del Partito di Sinistra e attuale leader de La France Insoumise ("La Francia Indomita"), che alle elezioni presidenziali del 2022 ha ottenuto il terzo posto con il 21,95% dei voti, l’obiettivo è portare tre milioni di francesi che non hanno mai votato a farlo: se ci riuscirà cambierà la politica europea. L’altro politico è l’ottantaseienne senatore americano Bernie Sanders, il più importante esponente della corrente progressista del Partito Democratico. Dagli anni Cinquanta, ovvero dal periodo della persecuzione anticomunista e antisocialista del maccartismo, è stato l'unico membro del Congresso ad autodefinirsi espressamente «socialista» e non genericamente progressista o liberal. Sanders, dopo la sconfitta dei democratici, si sposta nei luoghi dove Trump ha avuto più voti per incontrare gli elettori, non i democratici, ma quell’America sofferente che è stata lasciata indietro: va in casa del nemico per comprenderne le ragioni e far capire le proprie”.

Dopo molte domande preoccupate sull’attuale situazione politica del nostro pase, cui gli autori hanno risposto ampiamente, Silvana Patriarca ha ricordato come il libro si chiuda con: “Oltre il ponte di Italo Calvino” che esprime la speranza del futuro: “Bisogna ritrovare il linguaggio per raggiungere le persone, non rassegnarsi alla deriva, è un impegno da assumere per le nuove generazioni delle quali non possiamo ipotecare il futuro e il diritto di scegliere: occorre tornare a partecipare”.

Piera Mazzone

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